Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, Damasco (Siria), 4 Febbraio 2012
Mentre i combattimenti non sono ancora finiti nei quartieri ribelli di Homs e le autorità siriane e libanesi devono ancora dare comunicazione della loro recente azione, Thierry Meyssan ha tratto un primo bilancio delle operazioni di lunedì notte, sul primo canale russo; informazioni di prima mano che condivide con i lettori della rete Voltaire.
Da undici mesi, le potenze occidentali e del Golfo conducono una campagna per destabilizzare la Siria. Diverse migliaia di mercenari si sono infiltrati nel paese. Reclutati dai centri in Arabia Saudita e Qatar della comunità sunnita estremista, sono giunti per rovesciare l'”usurpatore alawita” Bashar al-Assad e imporre una dittatura d’ispirazione wahhabita. Hanno le più sofisticate attrezzature militari, compresi sistemi di visione notturna, centri di comunicazione e robot per la guerriglia urbana. Supportati sottobanco dalle potenze della NATO, hanno anche accesso alle necessarie informazioni militari, tra cui immagini satellitari dei movimenti delle truppe siriane e intercettazioni telefoniche.
Questa operazione è falsamente presentata al pubblico occidentale come una rivoluzione politica schiacciata nel sangue da una dittatura spietata. Naturalmente, questa menzogna non è universalmente accettata. Russia, Cina e gli Stati americani membri dell’ALBA la respingono. Ognuno ha infatti le esperienze storiche che gli permettono di capire velocemente la posta in gioco. I russi pensano alla Cecenia, i cinesi al Xinkiang e gli americani a Cuba e al Nicaragua. In tutti questi casi, tranne l’aspetto ideologico o religioso, i metodi di destabilizzazione della CIA sono gli stessi.
La cosa più strana in questa situazione è osservare i media occidentali auto-convincersi che i salafiti, i wahabiti e i combattenti di al-Qaida amino la democrazia, mentre continuano a fare appello, sui canali satellitari di Arabia Saudita e Qatar, ad uccidere gli eretici alawiti e gli osservatori della Lega Araba. Non importa se Abdelhakim Belhaj (numero 2 di al-Qaida e attuale governatore militare di Tripoli, in Libia) sia venuto personalmente per installare i suoi uomini nel nord della Siria, e Ayman al-Zawahiri (numero uno di al-Qaeda, dalla morte ufficiale di Usama bin Ladin) abbia fatto appello alla jihad in Siria, la stampa occidentale continua il suo sogno romantico sulla rivoluzione liberale.
La cosa più ridicola, è sentire i media occidentali ripetere servilmente le accuse quotidiane del ramo siriano della Fratellanza Musulmana che diffonde notizie sui crimini del regime e le sue vittime, sotto la firma dell’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo. E poi, da quando questa confraternita di golpisti si occupa di diritti umani?
Sarebbe bastato ai servizi segreti occidentali creare un “Consiglio nazionale siriano” fantoccio, che ha per presidente un professore della Sorbona e per portavoce l’amante dell’ex capo della DGSE, affinché i “terroristi” siano diventati “democratici”. In un batter d’occhio, la menzogna diventa verità mediatica. Le persone rapite, mutilate e uccise dalla Legione wahhabita, nella stampa sono diventate vittime del tiranno. I coscritti di tutte le fedi che difendono il loro paese contro l’aggressione, sono diventati soldati settari alawiti che opprimono il loro popolo. La destabilizzazione della Siria da parte di stranieri è diventato un episodio della “Primavera araba”. L’emiro del Qatar e il re saudita, due monarchi assoluti che non hanno mai indetto elezioni nazionali nei loro paesi e che reprimono i manifestanti, sono diventati campioni della rivoluzione e della democrazia. Francia, Regno Unito e Stati Uniti, che hanno appena ucciso 160.000 libici in violazione del mandato ricevuto dal Consiglio di Sicurezza, sono diventati filantropi responsabili della protezione delle popolazioni civili. ecc.
Tuttavia la guerra a bassa intensità che la stampa occidentale e del Golfo nascondono dietro questa mascherata, si è conclusa con il doppio veto di Russia e Cina del 4 Febbraio 2012. Alla NATO e ai suoi alleati è stato intimato di cessare il fuoco e di ritirarsi, o di rischiare una guerra regionale, o anche mondiale.
Il 7 febbraio, una folta delegazione russa, tra cui il più alto responsabile dell’intelligence estera, giungeva a Damasco dove veniva salutata da folle plaudenti, certe che il ritorno della Russia sulla scena internazionale segnava la fine dell’incubo. La capitale, ma anche Aleppo, la seconda città più grande, si sono impavesate nei colori bianco, blu e rosso, e hanno marciato dietro striscioni scritti in cirillico. Al palazzo presidenziale, la delegazione russa ha incontrato le delegazioni di altri stati, tra cui Turchia, Iran e Libano. Una serie di accordi è stata raggiunta per il ritorno alla pace. La Siria ha restituito 49 istruttori militari catturati dall’esercito siriano. La Turchia è intervenuta per liberare gli ingegneri e i pellegrini iraniani rapiti, anche quelli sequestrati dai francesi (a proposito, il tenente Tlass che li sequestrava per conto della DGSE, è stato liquidato). La Turchia ha cessato ogni supporto al “libero esercito siriano”, ed ha chiuso i suoi impianti (ad eccezione di quello nella base NATO di Incirlik), e ha consegnato il suo comandante, il colonnello Riad al-Assad. La Russia, che è il garante degli accordi, è stata autorizzata a riattivare la base sovietica di intercettazione sul Monte Qassioum.
Il giorno dopo, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha informato l’opposizione siriana in esilio che non poteva più contare su un aiuto militare. Rendendosi conto che hanno tradito il loro paese per niente, i membri del Consiglio nazionale siriano andranno in cerca di nuovi sponsor. Uno di loro è anche arrivato al punto di scrivere a Benjamin Netanyahu, chiedendogli di invadere la Siria.
Dopo i due giorni necessari per l’attuazione degli accordi, non solo l’esercito nazionale della Siria, ma anche quello del Libano, hanno preso d’assalto le basi della Legione wahhabita. Nel nord del Libano, un massiccio arsenale è stato sequestrato a Tripoli e quattro agenti occidentali sono stati fatti prigionieri ad Akkar, in una scuola dell’UNRWA abbandonata e trasformata in quartier generale militare. In Siria, il generale Assef Shawkat in persona ha diretto le operazioni. Almeno 1.500 combattenti sono stati catturati, tra cui un colonnello francese dei servizi tecnici di comunicazione della DGSE, e più di mille persone sono state uccise. In questa fase non è possibile determinare quante vittime vi siano tra i mercenari stranieri, quanti tra i siriani che hanno collaborato con le forze straniere, e quanti tra i civili intrappolati nella città in guerra.
Libano e Siria hanno ripristinato la loro sovranità sul loro territorio.
Degli intellettuali discutono se Vladimir Putin non abbia commesso un errore nel proteggere la Siria al costo di una crisi diplomatica con gli Stati Uniti. Questa è una domanda mal posta. Ricostituendo le proprie forze per anni e affermandosi sulla scena internazionale di oggi, Mosca ha concluso due decenni di ordine mondiale unipolare, in cui Washington poteva estendere la sua egemonia fino ad ottenere il dominio globale. La scelta non era tra allearsi con la piccola Siria o con degli stati potenti, ma o di lasciare che la prima potenza mondiale distruggesse un altro stato o che la Russia sconvolgesse l’equilibrio del potere e creasse un ordine internazionale più giusto dove la Russia abbia una voce in capitolo.
FONTE: http://www.voltairenet.org/Fin-de-partie-au-Proche-Orient
Traduzione di Alessandro Lattanzio
http://sitoaurora.altervista.org/home.htm
http://aurorasito.wordpress.com